Versace, una storia di massimalismo in nero e oro

di Caterina Corbetta

Versace rappresenta la reazione più visibile ai designer del minimalismo e della moda povera, per lui “classico vuol dire contemporaneo”.

Nato nel 1946 in Calabria, dove la madre possedeva una sartoria, già dal 1972 Gianni comincia a collaborare con importanti marchi italiani come Genny, Callaghan e Complice. Nel 1978 viene aperta a Milano la prima boutique. A metà degli anni ottanta si comincia con la differenziazione delle collezioni con l'introduzione di Istante, una linea di moda pronta, a cui seguirono, nel 1989, le collezioni Atelier Versace e Versus, quest'ultima creata da Donatella e rivolta ai giovani.

Versace si inserisce nel conflitto massimalisti contro minimalisti, soprattutto nel gusto barocco della sua produzione più recente. Cromofilia contro cromofobia o artificio contro natura, linee pulite dell'arte greco-romana contro barocco e rococò. Già dal 1978, è chiaro come Versace ami le opposizioni, quando utilizza la pelle in contrasto con la seta. Le collezioni iniziali appaiono molto diverse dall'estetica di quelle che lo renderanno noto a livello internazionale, dalla fine degli anni '80 in poi, quando scoppia una vera e propria “retrofilia” che lo spinge a rendere la Medusa ancora più barocca, anzi “baroque 'n roll”, come scrive Brigid Brophy. Così ecco che nel 1989 propone una vestaglia floscia alla Poiret con motivi floreali a contrasto con quelli oro e nero. Nel 1991 è il momento dell'abito Warhol, o di un top tempestato di pietre preziose e abbinato a un chiodo di pelle, ispirato da una visita alla basilica di San Vitale di Ravenna. Nel 1992 una gonna in pizzo bianco si abbina a stampe oro e nero, ma il look più celebre è la camicia in jeans con gonnellone floreale o l'abito nero con doppio spacco laterale ornato con spille da balia indossato nel 1994 da Elizabeth Hurley.


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