di Caterina Corbetta Il 4 settembre 2025 il mondo della moda ha detto addio a Giorgio Armani, il “Re Giorgio” che con il suo stile inconfondibile ha rivoluzionato l’eleganza contemporanea. La sua scomparsa a 91 anni ha segnato la fine di un’epoca, ma anche l’inizio di un’eredità destinata a vivere nel tempo. Armani non era solo un nome, ma un linguaggio fatto di rigore, raffinatezza e modernità, un marchio che ha saputo unire cinema, cultura, business e costume in un’unica visione coerente e riconoscibile. La sua carriera comincia in silenzio, lontano dalle passerelle, come vetrinista alla Rinascente di Milano. È qui che scopre il potere della visualità e dell’allestimento, un aspetto che segnerà per sempre il suo approccio alla moda. Nel 1964 Nino Cerruti, fondatore del marchio Hitman, lo chiama per affidargli la linea maschile: Armani accetta e inizia a sperimentare colori neutri e desaturati, come il celebre tono del fango del Trebbia, che diventeranno la sua firma stilistica. È in questo periodo che si innamora dell’idea di una moda sobria, elegante, essenziale, lontana dagli eccessi e dalle rigidità del passato. La svolta arriva nel 1975, quando insieme a Sergio Galeotti fonda la Giorgio Armani S.p.A. e presenta la sua prima collezione maschile, a cui poco dopo si aggiunge quella femminile. La vera rivoluzione, però, arriva nel 1977 con la giacca destrutturata: un capo che abbandona imbottiture e fodere, abbassa l’abbottonatura, utilizza tessuti morbidi come la crepe di lana e si allontana dalle silhouette rigide degli anni Cinquanta. È la nascita del casual italiano e di uno stile che non conosce barriere di genere: una giacca nuova, né maschile né femminile, pensata per una donna emancipata che conquista il mondo del lavoro e per un uomo moderno che rifiuta l’austerità senza rinunciare al fascino. Gli anni Ottanta consacrano Armani come icona globale grazie al cinema. Richard Gere in American Gigolò, con i suoi completi firmati Armani, diventa il simbolo di una nuova sensualità maschile, mentre serie come Miami Vice e film come Gli Intoccabili portano le sue creazioni nell’immaginario collettivo. Le sue giacche indossate senza cravatta, i toni freddi come il greige e il blu Armani, le linee morbide ma impeccabili, tutto contribuisce a definire un’estetica unica e immediatamente riconoscibile. Parallelamente Armani reinventa il concetto stesso di maison. Negli anni Ottanta comprende che il pubblico della moda è ormai variegato e diversificato: accanto alla linea di alta gamma introduce il prêt-à-porter di lusso e soprattutto Emporio Armani, giovane, accessibile, con il celebre logo dell’aquilotto e campagne pubblicitarie innovative. Le sue sfilate diventano eventi attesissimi, curate fin nei minimi dettagli, dai capi all’interior design, riflettendo l’idea di una moda totale che abbraccia abbigliamento, profumi, accessori, arredamento e perfino l’hotellerie. Il suo stile rimane inconfondibile: anti-Yves Saint Laurent per eccellenza, Armani elimina orpelli e rigidità, riduce i colori alla loro essenza, riporta tutto a un’eleganza funzionale, sobria, pensata per durare nel tempo. Negli anni della pandemia converte i suoi stabilimenti per produrre camici destinati agli operatori sanitari e ribadisce l’importanza di una moda etica e sostenibile, fatta di capi che non inseguono le tendenze ma resistono alle stagioni e alle mode passeggere. Con la sua morte, Giorgio Armani lascia un impero costruito su innovazione, rigore e libertà creativa, ma soprattutto un’estetica che ha cambiato il modo di vestire uomini e donne di tutto il mondo. La sua giacca destrutturata, le linee fluide, i colori discreti e la ricerca di un’eleganza rilassata ma autorevole continueranno a parlare per lui, raccontando la storia di un uomo che ha saputo trasformare la moda in un linguaggio universale di stile e modernità.

di Caterina Corbetta


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